lunedì 29 dicembre 2008

Le tartine nell'interpretazione di 3 maestri

La grande cucina internazionale dell'Ottocento e del Novecento, figlia diretta della scuola delle corti reali d'Europa e di Russia, ha sempre annesso molta importanza alla prima parte del pranzo: la premessa, il prologo, l'introduzione, sono una componente essenziale perché lo svolgimento sviluppi in pieno tutta la sua forza. E allora, sulla base della indiscussa influenza francese sulla teoria e sulla pratica della grande cucina, la parte iniziale dei grandi pranzi veniva chiamata hors d'oeuvre, letteralmente "fuori d'opera", a definire una portata, appunto, fuori menu, modo peraltro con cui si usa tuttora definire gli antipasti Oltralpe. Di questa famiglia facevano parte, a pieno titolo, tutte le tartine, nella versione ufficiale del canapè. Anche tre grandi maestri storici dei fornelli avevano da dire la loro sulle tartine.

Giovanni Vialardi fu capocuoco alla corte dei Savoia e precisamente del re Carlo Alberto prima e di Vittorio Emanuele II poi. Nel 1854 scrive il Trattato di cucina pasticciera in cui troviamo la ricetta per preparare il burro alle acciughe (grande classico per le tartine) e quella di un gustoso canapè, o meglio calapè, secondo la dizione dell'epoca.

Lavate 18 belle e buone acciughe, direstatele, pestatele nel mortaio con un poco di aglio, 10 rossi d'uova cotti duri, aggiungete 3 ettogrammi di butirro fresco, pepe, noce moscata, 2 cucchiai a bocca d'aceto forte all'estragon, altrettanto olio fino, unite e passate al setaccio, mettetelo in un vaso e servitevi per decorazioni.
E questa è la preparazione del canapè:
Tagliate 24 rotondi di mollica di pane raffermo larghi 4 centimetri e spessi 2; fate un buco nel mezzo largo 3 centimetri con uno stampo più piccolo ma che non passi dall'altra parte, fateli friggere con un po' di butirro a fuoco ardito; copriteli di butirro tutto all'intorno ma non nel buco. Lavate 60 grammi di tartufi bianchi tagliati a fette sottilissime, uniteli con salsa tartara, un po' di sale, pepe ed empite con questo il mezzo del pane.

George-Auguste Escoffier (1847-1935) è considerato il più grande cuoco di tutti i tempi. Soprattutto, però, ha codificato i principi di base della grande cucina. Nel suo Le guide culinaire afferma: "Bisogna aromatizzare i burri al momento del loro impiego, se preparati in anticipo occorre tenerli in una terrina al fresco. Una felice variante consiste nell'incorporarvi la panna fresca al naturale o montata, nella proporzione di uno a tre, per guarnire piccole tartellette o canapè, guarnizione che si esegue con una piccola tasca di tela". Ancora: "I canapè si fanno con del pane a cassetta, in diverse forme che non hanno nulla di prestabilito, e il loro spessore non deve superare il mezzo centimetro. Vengono fritti nel burro chiarificato o tostati alla griglia. La guarnizione per eccellenza è il burro fresco con l'aggiunta di un purè, di un trito finissimo di pollame, crostacei, pesce, formaggio, ecc.".

Nino Bergese (1904-1977), il più moderno tra i maestri parla dei canapè nel suo Mangiare da re e scrive: "I canapè consistono in fettine di mollica di pancarrè spesse circa 1/2 centimetro e tagliate in varie forme: quadrata o rettangolare, rotonda oppure ovale. Si spalmano in genere di burro semplice o composto o di formaggio, appropriati alla guarnizione, oppure di maionese, infine si guarniscono in vario modo". Ecco alcune sue proposte:
Spalmare con mascarpone, guarnire al centro con un cucchiaino da caffè di caviale, cospargere con tuorlo d'uovo sodo passato al setaccio.
Spalmare con un impasto composto in parti eguali di besciamella e fonduta, spolverizzare con groviera grattugiato, dorare in forno caldo per 1 minuto.
Spalmare di burro impastato con una quantità eguale di senape francese, guarnire al centro con 1/2 cucchiaio di tuorlo d'uovo sodo passato al setaccio, contornare con albume sodo finemente tritato".

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