La canzone delle ostriche
Rossini si trovava a letto, pur essendo giorno inoltrato, con un foglio di carta e una matita: in quel periodo stava componendo "La gazza ladra". Ad un tratto bussò alla porta un certo Bortolo, al quale era debitore di un migliaio di lire per numerose forniture di ostriche, senza le quali, si disse, non poteva vivere. La visita del Bortolo mirava, per l'appunto, alla riscossione del denaro dal musicista o, in caso contrario, al suo arresto per debiti. Il pagamento dell'onere si concretizzò, incredibile a dirsi, in questo modo particolarissimo: l'ostricaro, che celava un'insospettabile vena poetica, chiese al maestro, riservandosi di mantenerlo a ostriche durante il suo soggiorno milanese, di rendere immortale una propria poesia col suo genio musicale. I versi non solo furono musicati all'istante, ma entrarono a far parte della nuova opera rossiniana, passando alla storia come "la canzone delle ostriche".
Sulle ostriche l'Oettinger, uno dei più fantasiosi biografi rossiniani, attribuisce al maestro questo pensiero: "L'ostrica è come la manna celeste di cui i savi rabbini raccontano che ha la proprietà di sembrare sempre nuova al palato e di prendere quel gusto che si desidera. Una colazione senza ostriche è un pranzo senza maccheroni, una notte senza luna. Diem perdidi! dico io ogni giorno che passa senza ostriche e senza maccheroni!".
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