lunedì 16 febbraio 2009

La tradizione pasquale in cucina

Si parla di una "cucina pasquale" perché nelle varie regioni italiane si sono consolidate delle usanze che caratterizzano le abitudini gastronomiche di questa fase dell'anno e che derivano dalla tradizione ebraica e da quella cristiana. La prima, che si lega al ricordo della fuga del popolo ebraico dall'Egitto, prevede un periodo preparatorio di stretto digiuno che culmina nel giorno della festa con la cottura e il consumo dell'agnello, animale simbolico, comunque sempre imbandito nelle occasioni più importanti. Una scelta, quello dell'agnello, che la tradizione cristiana ha fatto sua, identificandola chiaramente con Gesù Cristo, inteso come vittima sacrificale per la purificazione del genere umano.

Come sempre accade, le origini sbiadiscono per lasciare il campo a consolidati modi di fare che, con il passare del tempo, diventano radicate tradizioni di comportamento. Così e anche per la cucina, dove l'antica abitudine dei giovani di girare di porta in porta facendo la questua delle uova ha lasciato una traccia molto precisa, tanto da assegnare a questo alimento un ruolo fondamentale ed emblematico. Le uova, infatti, spesso rassodate e con il guscio decorato in vario modo, sono uno dei simboli della Pasqua, fino ad arrivare al trionfo dolce delle uova di cioccolato dalle dimensioni più disparate. Uova e agnello (o capretto) quindi, ma anche una lunga serie di dolci tipici regionali. Infatti, fedele al motto "un dolce per ogni festa", l'Italia culinaria delle regioni sa offrire un ampio ventaglio di proposte per terminare un pranzo pasquale: dai dolcetti, alle torte, alle trecce più complesse. E anche qui, spesso, resta il richiamo anche visivo alle uova. Senza dimenticare il dolce pasquale per eccellenza, la colomba, che però ha un piglio più industriale.

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